In una tazza capiente inserire 2 cucchiai di farina, 2 cucchiai di zucchero, 1 cucchiaio di cacao amaro in polvere, 1 uovo medio, un cucchiaino di lievito in polvere per dolci e 3 cucchiai di latte.
Mescolare il tutto fino ad ottenere un impasto omogeneo.
Cuocere in microonde per circa 2 minuti e 30 secondi.
Attendere un minuto e poi cospargere la torta in tazza con dello zucchero a velo.
Ercole aveva radunato alcuni eroi affinché lo seguissero a Temiscira, il regno delle Amazzoni per portare a termine un altro compito: la figlia viziata di Euristeo pretese, in dono dal padre, Ippolita il Cinto.
Ippolita era la regina delle Amazzoni, grazie ai successi sul campo di battaglia ricevette la cintura degli dei come onore.
Per esaudire il desiderio della figlia, il re inviò Ercole affinché usasse tutto ciò che riteneva necessario per riportare la cintura alla figlia.
Temiscira era un regno di sole donne famose per essere eccellenti guerriere.
Quando arrivò nel Regno delle Amazzoni, Ercole fu accolto da Ippolita che rimase sbalordita dalle dimensioni del figlio di Zeus. Ercole parlò con la regina con diplomazia e lei ricambiò la cortesia, sembravano essere giunto ad un accordo e Ippolita avrebbe dato il suo Cinto all’eroe senza una goccia di sangue.
Ma la dea era nemica di Ercole, non avrebbe permesso al figlio di Zeus di portare a termine quel compito così facilmente.
Travestita, si unì alle Amazzoni e diffuse la voce che Ercole aveva progettato di rapire la regina.
Per proteggere Ippolita, le Amazzoni si armarono e attaccarono Ercole e i suoi compagni, la battaglia fu sanguinosa, molte Amazzoni caddero sul campo di battaglia: tra le Amazzoni cadute c’era anche la regina Ippolita.
Ercole raccolse la sua cintura e iniziò il suo ritorno a Micene, sulla via del ritorno l’eroe passò per Troia, che si trovava in grave difficoltà.
Il re troiani Laomedonte venne punito perché si era rifiutato di pagare il tributo concordato con Poseidone, il quale aveva costruito per il re le leggendarie mura di Troia.
A causa di ciò sua figlia sarebbe stata consegnata in sacrificio a un terribile mostro marino.
Il re promise una ricompensa all’eroe se fosse riuscito a salvare sua figlia.
Così Ercole andò a combattere la creatura, la creatura non era all’altezza del potente figlio di Zeus e finì distrutta.
Ma Laomedonte aggravò la sua reputazione di fannullone e non pagò il premio all’eroe e Ercole fu espulso da Troia ma prima di partire giurò vendetta e tornò in Grecia per consegnare il cinto della regina Ippolita alla figlia della sovrana.
Hannah Wells è una studentessa modello. Una di quelle ragazze intelligenti che al college non godono di alcuna popolarità. Ora si è presa una bella cotta per il più fico della scuola, ma c’è un problema: per lui Hannah non esiste. Come riuscire a farsi notare? Garrett Graham è un bad boy, ed è anche uno dei ragazzi più popolari, grazie alle sue imprese sul campo da hockey. Ma le speranze di un grande futuro rischiano di andare in fumo perché i suoi voti sono troppo bassi. Avrebbe bisogno di un aiuto per superare l’esame di fine semestre e poter diventare un giocatore professionista… E allora è naturale che i due stringano un patto. Hannah sarà la tutor di Garrett fino alla fine dell’anno. In cambio, Garrett fingerà di uscire con lei per accrescere la sua fama: a quel punto tutti la noteranno di sicuro. Ma qualcosa va storto e quel bacio in pubblico, tra Hannah e Garrett, non sembra poi così falso…
Questo libro ha un posto speciale nel mio cuore, poiché è stato il primo sport romance che io abbia mai letto, se non in generale il primo romance. Che dire, me ne sono innamorata.
Di primo acchito potrebbe sembrare una storia “semplice”, anch’io a essere sincera all’inizio l’ho pensato, ma continuando a leggere e immergendomi sempre di più nella storia di Hannah e Garrett, posso dire che la Kennedy ha toccato argomenti sensibili e attuali.
Entrambi hanno un brutto passato: quando Hannah ha dischiarato quell’episodio del suo passato e le conseguenze che sono arrivate, mi ha lasciata senza parole; per non parlare dell’infanzia di Garrett, il quale neanche ai suoi amici ha mai rivelato nulla. Loro si sono trovati: all’inizio entrambi avevano uno scopo da raggiungere, ma trascorrendo sempre più tempo insieme, hanno imparato a conoscersi e si sono aiutati a vicenda, sconfiggendo i loro scheletri nell’armadio.
Hannah frequenta il terzo anno e studia musica, è una ragazza tranquilla, sempre impegnata per le prove dello spettacolo invernale dell’università. Non ama andare alle feste e si fida soltanto del suo gruppo stretto di amici, soprattutto di Allie, protagonista del terzo libro della serie: il tradimento, anche questo l’ho adorato. Mano a mano nella storia, esce sempre più fuori il carattere sarcastico di Hannah e la sua maggior sicurezza e determinazione.
Garrett invece è il capitano della squadra d’hockey. In quanto tale, gode di tanta notorietà, soprattutto tra le ragazze: un playboy a tutti gli effetti, con il tipico carattere sicuro di sé e sfrontato, poiché riconosce di avere molto charme. Può sembrare vuoto e senza cervello, ma non è così, anzi si dimostra molto intelligente, altruista e dolce. Posso benissimo affermare che lui sia uno dei miei protagonisti preferiti fra tutti i libri letti fino ad oggi.
Consiglio questo libro al 100% perché è scorrevole, intenso di dialoghi e sono presenti molte scene divertenti e anche con doppi sensi; quindi, se volete trascorrere un po’ di tempo sorridendo e volete stare spensierati potente benissimo farlo leggendo ‘Il contratto’, fidatevi!
Oggi vi propongo uno dei gruppi che adoravo più di dieci anni fa: gli Afromental, un gruppo che esegue musica al confine tra funk, reggae, R&B, hip-hop e soul.
Per anni gli Afromental hanno fatto una straordinaria carriera nel mercato musicale polacco.
La loro storia risale al 2004, quando il gruppo iniziò ad operare a Olsztyn.
Il più riconoscibile tra di loro era il musicista e cantante Wojciech “Łozo” Łozowski, che il pubblico conosceva da stazioni televisive popolari, come per esempio MTV.
Nell’ottobre 2007 è apparso l’album di debutto della band “The Breakthru”.
Da quel momento, Afromental è diventato sempre più popolare sulla scena musicale polacca.
Nello stesso anno, il gruppo ha avuto l’opportunità di esibirsi al Sopot TOPtrendy Festival, dove hanno presentato il primo singolo dall’album – “I’ve Got What You Need”. Un anno dopo, la band è stata nominata per il premio “Fryderyk” dell’industria fonografica polacca nella categoria “Album hip-hop/R’n’B dell’anno”.
Tuttavia, la vera svolta nella carriera della band è arrivata con la prima del secondo album “Playing with Pop” del 2009.
Il successo è arrivato con il singolo “Pray 4 Love”, grazie al quale l’album “Playing with pop” ha ottenuto lo status di disco d’oro.
Da quel momento in poi, il gruppo iniziò a ottenere sempre più successi, come la vittoria del premio Superjedynki nella categoria “gruppo dell’anno” e la statuetta VIVA Comet come d’altronde molti altri premi.
Nel 2010, la band ha pubblicato una canzone intitolata “Rock&Rollin’ Love” (tra l’altro una delle mie canzoni preferite n.d.a), che è il primo singolo estratto dall’album “The B.O.M.B.”
Grazie alla trama caratteristica e all’apparizione di Karol Strasburger, Michał Milowicz e Maria Gładkowska, il video musicale è diventato il più visto nella storia della band.
Alla fine del 2011, a meno di due mesi dalla presentazione del secondo singolo “Rollin’ With You”, esce il tanto atteso album “The B.O.M.B”.
Era il terzo album in uscita della band, che raggiunse molto rapidamente il successo commerciale in Polonia.
Il singolo finale di “The B.O.M.B.” è la canzone “It’s My Life” pubblicata nel 2012.
Nel novembre del 2014 è stato pubblicato il quarto album della band “Mental House”.
Inevitabilmente il 13 aprile 2017, la pagina Facebook ufficiale di Afromental ha annunciato che Wojciech Łozowski e Grzegorz Dziamka avrebbero lasciato la band.
Nel 2019 i restanti tre membri del gruppo fecero uscire il quinto e ultimo album “5”.
La decimazione, la peggiore punizione che poteva essere inflitta a un legionario romano, poteva essere comminata a dei legionari all’ordine di un generale, di un legato, e veniva utilizzata per motivazioni gravissime. Esisteva un complesso sistema di premi e di punizioni per garantire la sicurezza, il funzionamento, della legione. Le punizioni erano tante e varie, si partiva da punizioni abbastanza leggere come una reprimenda (una nota comportamentale), saltare un pasto, fare una ronda notturna, subire una flagellazione. La decimazione si faceva sostanzialmente in due situazioni: o nel momento in cui c’era un ammutinamento (tutti i soldati si rifiutavano di obbedire agli ordini) o quando non c’era solo un ammutinamento, ma una vera e propria ribellione, una rivolta, anche violenta, nei confronti del generale e quindi c’era una certa dose di furore nei legionari, oppure in un altro caso gravissimo cioè la vigliaccheria sul campo di battaglia, forse la cosa peggiore per i legionari. Queste situazioni limite quindi, ammutinarsi, ribellarsi o essere vigliacchi, potevano portare come soluzione punitiva estrema la decimazione. Perché e come funzionava? Il generale, accompagnato da dei soldati fedeli che garantivano il funzionamento di questa punizione, prendeva un’unità della legione chiamata coorte (che sono circa 600 uomini). La coorte era l’unità fondamentale ed era un po’ più grossa dei manipoli. Ogni coorte veniva divisa in gruppi di dieci soldati e all’interno di ogni gruppo si faceva un’estrazione. Colui che veniva estratto aveva la condanna, lui era il prescelto, lui doveva morire davanti a tutti, ucciso dagli altri nove appartenenti al gruppo, con la lapidazione: con l’utilizzo delle pietre o con la bastonatura “fustuarium” lo picchiavano fino a togliergli la vita di fronte a tutti. I problemi degli altri nove però non sempre terminavano con la morte del prescelto: innanzitutto, durante il rancio (il pranzo), che era fondamentale, anziché mangiare frumento, che era comunque il nutrimento di base, venivano condannati a mangiare orzo, molto più sgradevole e anche meno nutriente. Per un legionario, mangiare orzo come rancio era abbastanza povero e disgustoso. Le punizioni però non riguardavano solo il nutrimento. Infatti, i legionari, per una o più notti, erano costretti a turno a dormire fuori dall’accampamento, senza le protezioni che il campo offriva. In questa situazione non era un pericolo solo il freddo, ma anche la possibilità di essere ammazzati. I legionari costretti a dormire fuori dall’accampamento passavano una notte tremenda, con il terrore di essere attaccati, di essere uccisi: questa punizione non colpiva il legionario solo a livello fisico, ma anche a livello psicologico.
Esisteva poi un’altra situazione che si presentava quando magari non era possibile organizzarsi o identificare i colpevoli. In questi casi si ricorreva a una variante, dove un tribuno prendeva un gruppo di legionari colpevoli, li radunava nel piazzale dell’accampamento, li sgridava severamente umiliandoli, per poi estrarre a sorte coloro che sarebbero dovuti morire. Il loro numero doveva coincidere con un decimo del gruppo totale e quindi anche in questa variante alla fine si arrivava sempre ad avere un gruppo di persone di legionari che dovevano essere uccisi dai commilitoni. Abbiamo notizia di diverse decimazioni: un primo ricorso alla decimazione avviene attorno a 471 a.C., testimoniato da Tito Livio (stiamo parlando quindi ai primordi di Roma), quando le legioni romane stavano combattendo contro i Volsci (una popolazione appenninica che spesso faceva delle incursioni e metteva a rischio la serenità di Roma). La prima notizia della decimazione ci è documentata perché i legionari si erano dimostrati veramente insofferenti e codardi sul campo di battaglia; un altro esempio importante di decimazione, molto più noto, è quello che Plutarco ci racconta riguardo il generale Crasso nel 71 a.C., in occasione della rivolta di Spartaco (terza guerra servile). Crasso intervenne sul campo di battaglia facendosi assegnare un poderoso gruppo di legioni, ma siccome i legionari erano assolutamente indisciplinati, Crasso utilizzò il metodo della decimazione per dare una punizione esemplare e riprendere il controllo dei soldati ed effettivamente le fonti dicono: “a un certo punto i soldati di Crasso avevano più paura di deludere o di far arrabbiare il proprio comandante che di perdere contro Spartaco” e quindi con questa misura estrema Crasso recuperò il controllo sulle legioni; infine abbiamo un terzo esempio abbastanza importante sotto Augusto, capace di essere decisamente spietato quando era il momento. Un’altra notizia l’abbiamo da Svetonio, nella vita dei Cesari. Lui parla di una decimazione fatta da Augusto nel 17 d.C. Tacito testimonia, inoltre, di un centurione di nome Lucilio, sarcasticamente soprannominato dai soldati “Qua un’altra”, perché aveva l’abitudine di percuotere i soldati spezzandovi sulla schiena più verghe. Questa pratica era, inoltre, inflitta anche a chi avesse rubato qualcosa all’interno dell’accampamento, a chi avesse testimoniato il falso, a quei giovani che fossero stati sorpresi ad abusare del proprio corpo e a chi fosse già stato punito tre volte per le stesse ragioni.
Vita liquida di Zygmunt Bauman (1925-2017), uno dei più noti e influenti intellettuali del Novecento, è un’opera pubblicata nel 2005, che costituisce la terza e ultima parte di un’analisi all’interno di quella che viene definita, dall’autore stesso, modernità liquida, una metafora attraverso cui Bauman definisce la postmodernità. Il sociologo e filosofo polacco infatti ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e a quello liquido della società.
Bauman dice che la vita liquida è una vita di consumi, priva di certezze, è una successione di nuovi inizi: al giorno d’oggi questo potrebbe essere paragonato al consumismo; anche Bauman stesso afferma in un passo successivo che gli uomini da produttori divengono consumatori. Oltre a ciò però tale tematica può essere anche ravvisata in quei soggetti completamente incapaci di comprendere il valore delle opportunità che gli si pongono davanti: come si può apprezzare qualcosa di esterno se la propria personalità resta costantemente liquida e non si è in grado di decidere cosa si vuole? In questi casi, la personalità liquida non se ne rende conto, probabilmente è convinta di avere tutte le certezze di cui ha bisogno strette in pugno, quando in realtà quel pugno non è altro che una mano aperta sulla quale scorre, come un fiume, un flusso di occasioni e opportunità che però essa non è in grado di afferrare.
Come già accennato, il soggetto molte volte non si rende conto di questa situazione, vive la sua vita iniziando nuovi percorsi ma non portandoli mai a compimento e lí per lí si sente realizzato. Quest’illusione però prima o poi finisce e colui che possiede una personalità liquida, dopo non aver colto al volo le opportunità che avrebbe potuto sfruttare, ora diventa impotente di fronte ad esse, non può più afferrarle, non gli è concesso. Egli dunque si trova costretto ad accettare una nuova situazione, frustrante ma opposta a quella precedente, è impotente e l’unica cosa che può fare è abituarsi a vivere in questo modo, e chissà, magari un giorno torneranno indietro tutte le opportunità che si è lasciato scappare in precedenza.
Spesso, sin da bambini, abbiamo sentito nominare, in televisione, nei cartoni animati o dagli adulti il nome di “Pegaso”.
Immediatamente la nostra mente associava quel nome all’immagine di un maestoso cavallo alato, dal pelo candido e lucente e dall’aggraziata andatura; in realtà, però, quasi nessuno conosce la vera storia di Pegaso, o meglio quella che ad oggi conosciamo grazie alla raccolta di miti e leggende sopravvissuti fino ai giorni nostri.
Tra le varie versioni che vedono protagonista Pegaso e la storia della sua nascita, ne troviamo due nello specifico che però ci mettono di fronte a due prospettive praticamente opposte.
Nella prima versione Pegaso nacque dal sangue di Medusa, nell’esatto momento in cui Perseo le tagliò la testa. Mentre, secondo l’altra versione, il cavallo alato fu il frutto dell’unione tra Medusa stessa e Poseidone, il dio del mare, che si era trasformato in cavallo per stare con la creatura ed era successivamente venuto a conoscenza della nascita di Pegaso.
Pare inoltre che Pegaso avesse anche un gemello, Crisaore, noto nella mitologia greca con l’appellativo di “ragazzo d’oro”, che però non aveva nessuna caratteristica in comune con il fratello; nonostante ciò, in più racconti e leggende greci compaiono queste due figure rappresentate in totale armonia.
L’elemento distintivo del cavallo Pegaso erano senza ombra di dubbio le sue immense ali, grazie alle quali era in grado di sorvolare l’Olimpo, dove risiedevano gli dèi, e di fare addirittura compagnia a Zeus stesso, che era il più potente di tutte le divinità (nonché dio dei fulmini e delle tempeste). Seguendo svariate leggende infatti, è evidente come ad un tratto Zeus fosse rimasto così tanto colpito dalle doti e dalle capacità del cavallo alato da arrivare a prenderlo dopo la morte del suo primo proprietario, Bellerofonte. In base ai miti, infatti, il primo vero proprietario di Pegaso fu proprio Bellerofonte (in origine Leonfonte) e ci sono anche in questo caso diverse versioni sul modo in cui quest’ultimo riuscì ad appropriarsene.
Secondo alcune fonti, Bellerofonte lo aveva ricevuto in dono da Poseidone, secondo altre lo aveva trovato mentre si abbeverava ad una fonte e secondo altre ancora era stata la dea Atena a regalarglielo. Quest’ultima sembra essere la più credibile e soprattutto la più coerente, visto che combacia perfettamente con la storia dell’uccisione della Chimera, il mostro a due teste che si è reso protagonista di numerose leggende greche dall’esito tragico. In base al mito infatti Bellerofonte, dopo essersi macchiato di un delitto, si era recato da un sovrano, il re Preto, per purificarsi e liberarsi dal tormento di quella morte che si portava sulla coscienza; una volta arrivato a corte, però, la moglie del re si era invaghita di lui e quest’ultimo, respingendola, si era condannato da solo. La donna, frustrata a causa del rifiuto, aveva confessato a suo marito cose del tutto inventate e frutto della sua fantasia, che però avevano spinto l’uomo a cacciare Bellerofonte e a mandarlo dal suocero. Anche lui però non aveva alcuna intenzione di ospitarlo, e per liberarsene lo aveva messo davanti ad una sfida: uccidere la Chimera. Confuso e disperato, l’uomo non aveva trovato una via d’uscita, dunque aveva accettato. Non aveva però la più pallida idea di come fare, e dunque era arrivata in suo soccorso la dea Atena che gli aveva offerto le briglie d’oro per domare Pegaso. In questo modo, collaborando, Bellerofonte ed il cavallo alato erano riusciti a portare a termine l’impresa e ad uccidere la Chimera, stabilendo una sorta di legame silenzioso di cooperazione. Da quel momento le avventure di Pegaso si erano moltiplicate a dismisura, e l’audacia del suo proprietario non aveva fatto altro che infastidire sempre più Zeus. Ormai giunto al limite, un giorno aveva spedito un insetto a mordere Pegaso mentre era in volo, che colto alla sprovvista aveva disarcionato Bellerofonte e lo aveva fatto precipitare nel vuoto. Fu così che Zeus ottenne finalmente il cavallo alato tanto desiderato.
Pegaso trascorse sull’Olimpo il resto dei suoi giorni, e al momento della sua morte Zeus lo trasformò in una costellazione rendendolo così immortale e donandogli, anche dopo la morte, una degna maniera per restargli accanto ed essere sempre ricordato.
“Disintegro accidentalmente la prof di matematica”. Tranquillo Percy, anche ai migliori capita di sbagliare.
Percy Jackson, 12 anni, non ha di certo scelto di essere un mezzosangue. Come dice lui stesso, “essere dei mezzosangue è pericoloso. È terrificante. Nella maggior parte dei casi, si finisce ammazzati in modi orribili e dolorosi”. Tuttavia, nessuno può scampare al proprio destino ed infatti il povero Percy si ritroverà coinvolto in una faccenda alquanto problematica: la Folgore di Zeus è stata rubata e gli dèi sono convinti della sua colpevolezza. Spetterà al semidio dimostrare la propria innocenza, riportando al re dell’Olimpo la sua tanto amata arma.
Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo di Rick Riordan è, a mio avviso, la saga fantasy più appassionante che sia mai stata scritta: mistero, mitologia, avventura, azione e tanto altro sono concentrati nelle vicende di un ragazzo che a primo acchito può sembrare perfettamente normale. Un libro tira l’altro e, prima di accorgersene, si è arrivati al capolinea. Una volta intrapreso il viaggio, sarà difficile staccarsi dalle pagine dell’opera e, soprattutto, nonostante Percy ci abbia decisamente sconsigliato ciò, non si potrà fare a meno che desiderare di essere un semidio per trascorrere anche solo un giorno nel celebre Campo Mezzosangue in compagnia della nuova generazione di eroi.
“Hearts a Mess” è una canzone del musicista belga-australiano Gotye (pseudonimo di Wouter Wally De Backer) tratta dal suo secondo album “Like Drawing Blood”, pubblicato poi come singolo nel 2007.
“Hearts a Mess” è stata inclusa nella colonna sonora dell’adattamento per il grande schermo del “Il grande Gatsby”.
Soffermiamoci sul significato della canzone.
La canzone parla di una ragazza con il cuore spezzato e di un ragazzo innamorato che vuole solo entrare in contatto con lei, ma la ragazza dopo la sua delusione amorosa pensa “come potrei mai essere sicura che non mi farò più male?”
Allo stesso tempo, parla di un uomo che sente che la persona che ama non lo amerà nel modo in cui crede di meritare, ed è ferito dal fatto che lei non sarà come si aspetta che sia e per questo tiene il suo amore lontano da lei come un modo per dirle che “mi hai ferito, anch’io ti farò del male”.
“Separa
I pezzi del tuo cuore”
Quelle primissime righe della canzone ci dicono che il cuore della ragazza è spezzato, frantumato in piccoli pezzi.
Ha sofferto da una precedente relazione, o forse ha anche sofferto di diverse precedenti relazioni, e ora il suo “cuore è un disastro” ma “non lo ammetterà”.
Si costruisce una barriera fingendo di stare bene, di non essere stata ferita, poiché non ammetterà che il suo cuore è stato spezzato.
Wally vuole entrare in contatto con lei e aprirle il suo cuore, perché la ama e non le farà del male come hanno fatto i suoi precedenti partner, ma lei è stata ferita così tanto che ha chiuso a chiave il suo cuore e ha buttato via la chiave.
“Non ti bruci
(Perché niente passa)
Lo rende più facile
(Più facile per te)
Ma molto più difficile per me”
Rende ogni giorno un po’ più facile da parte sua, ma molto più difficile da parte di Wally a causa delle barriere che lei ha eretto.
Zygmunt Bauman è stato un filosofo e sociologo che fu noto per la sua capacità di comprendere la realtà contemporanea partendo da piccole cose, dalle fragili certezze, dalla mancanza di punti di riferimento.
Ha coniato l’espressione “modernità liquida”, con cui indica un’epoca – tra gli anni ’60 del 900 – in cui la società e le sue strutture sono sottoposte a un processo di “fluidificazione”: per effetto dei principali stati fisici nei quali possiamo trovare la materia, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido, perdendo i suoi contorni chiari e definiti. Comportandosi proprio come i fluidi che assumono la forma del contenitore, anche i concetti di luogo, di confine e di identità continuano a trasformarsi e la loro forma viene continuamente ridefinita dalle situazioni.
A diventare fluidi sono quei “corpi sociali”, un tempo solidi, di riferimento della società moderna e industriale, come le istituzioni, la famiglia, le grandi fabbriche, le relazioni sociali; a liquefarsi sono l’idea di Dio, identità, soggetto, relazione, verità, di Stato-Nazione. Allo stesso modo, se lo spazio si disfa, anche il tempo si è ristretto.
Nel mondo contemporaneo, i singoli individui hanno perso la capacità di cogliere le complessità, fuggono dalle responsabilità di scegliere da soli, provano difficoltà a costruirsi identità significative, perché, in un certo senso, prima era la società a determinare per loro.
Siamo uomini modulari: al pari dei mobili componibili, la nostra individualità non è determinata alla nascita, bensì è mutevole e sempre in costruzione, aperta a nuove possibilità, sicché l’uomo di oggi «non è senza qualità, ne ha troppe».
Dilaga, di conseguenza, l’insicurezza sociale, temporale e storica che, come Bauman scrive ne “La solitudine del cittadino globale”, assomiglia «alla sensazione che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di pilotaggio è vuota».
Oggi tutto è percorribile e tutto è avvicinabile, tutto è disponibile e accaparrabile per essere consumato. Uomini e donne sono disperati all’idea di rimanere soli, abbandonati a sé stessi e annegare in quest’esistenziale incertezza dilaniante, ma al contempo sono timorosi nell’instaurare relazioni durature e stabili che possano privare loro di tanta agognata libertà: è probabile che i due soggetti siano spaventati dalla possibilità di diventare gettabili e sostituibili. Si preferisce, dunque, sgretolare questi rapporti e sostituirli alle reti, un contesto da cui è facile entrare ma anche uscire.
Da giorni ormai proseguono gli scontri tra polizia e manifestanti a Chişinău. C’è stato un tentativo di sommossa che però è stato sventato dalla polizia. Si tratterebbe di un piano russo per attivare gruppi anti-governativi, spediti poi a Chişinău.
La Moldavia è una regione che ora appartiene sia allo stato moldavo che alla Romania. Dopo la caduta del blocco orientale, la Moldavia dichiarò la propria indipendenza dall’Unione Sovietica e cambiò il suo nome in Repubblica Moldava, avvenuto dopo la caduta del governo golpista di Mosca. Il timore ora nasce per un possibile scoppio della guerra civile. Nei confronti della presidente filo-europeista Maia Sandu, si sviluppa un clima piuttosto teso e contro quest’ultima sono state organizzate manifestazioni di protesta, in maniera particolare per quanto riguarda il rialzo dei prezzi dell’energia; in realtà è tutto studiato e aldilà di questo rialzo c’è un piano è uno schema ben preciso e organizzato da Putin, essendo l’energia il suo punto di forza, proprio con l’intenzione di porre la Moldavia in una situazione di difficoltà. Ha fatto in modo che le esportazioni di gas in Moldavia fossero dimezzate e del tutto bloccate in Ucraina. Vede alla base gli scontri tra Moldavia e la Transnistria, regione separatista che nel 1990 si è dichiarato indipendenza unilaterale, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica; motivo per cui sono presenti questi scontri. Due anni dopo, nel 1992, segue il tentativo di un accordo di pace, ma che ad oggi non si è dimostrato un accordo duraturo.
Afrodite era nota per avere molti amanti. Uno di questi era Ermes, da questa unione sarebbe nato un bambino chiamato Ermafrodito dal nome di entrambi i genitori.
Il bambino fu allevato dalle ninfe ai piedi del monte Ida. Il bambino ereditò la bellezza Divina di entrambi i genitori. Quando non fu più bambino, lasciò il monte Ida per scoprire il mondo. Ovunque passasse, attirava l’attenzione per la sua bellezza fisica.
Dopo una delle sue cacce, si inchinò per rinfrescarsi nelle acque di uno stagno. Improvvisamente apparve Salmacis, la ninfa naiade deliziata dalla bellezza del giovane e desiderosa di unirsi a lui. Ermafrodito rifiutò la ninfa ma Salmacis non si arrese facilmente.
Il giovane entrò nelle acque dello stagno per rinfrescarsi senza rendersi conto che la ninfa era ancora in agguato. Ermafrodito fu colto di sorpresa quando la ninfa acquatica gli saltò addosso.
Il giovane non poté sfuggire a Salmacis, perché l’acqua è l’elemento naturale delle ninfee.
La ninfa chiese agli dei che lei e il giovane diventassero una cosa sola unendosi per sempre.
Gli dei accettarono la sua richiesta e i corpi di Salmacis e Ermafrodito iniziarono a unirsi, la ninfa e il giovane condividevano lo stesso corpo mescolando caratteristiche maschili e femminili. Questo nuovo essere intersessuale fu frainteso dalle altre persone per questo motivo Ermafrodito era visto con sospetto e provava grande vergogna.
Cosa sareste disposti a fare per il potere? C’è chi uccide, chi manipola, chi invece ha il sangue del leader e da sempre è destinato a regnare.
Siamo nel regno di Delain, e quando il vecchio re Roland è in punto di morte è sicuro di lasciare il suo regno nelle mani del figlio Peter, bello e valoroso, proprio come lo era stata sua madre.
Ma non tutti sono buoni come pensiamo, e anche la persona a noi più vicina può tradirci. Proprio per questo, Peter finisce imprigionato nell’Obelisco, con l’accusa di aver avvelenato il povero padre. E il regno? Semplice, è finito nelle mani del fratello Thomas; il povero piccolo Thomas, brutto e sgraziato come il padre, con una nuova grande passione per il vino, è diventato la rovina del regno. Anche perché a guidarlo è il mago Flagg, malvagio consigliere di Roland.
Ma è stato davvero Peter a togliere la vita al padre?
C’è poco da dire su questo libro. Come molti dei titoli di King è un vero gioiello, una bella lettura avvincente e misteriosa, che cattura dall’inizio alla fine, nonostante in alcuni punti possa risultare un po’ lento.
Lontano dall’horror tipico dell’autore, con uno scarso senso del macabro, questo libro mantiene nel suo stile fantasy parte di quella cupezza tipica dei titoli dello scrittore americano. Il finale è un po’ banale, forse leggermente deludente, ma merita sicuramente un posto in libreria.
Spesso mi domandavo cosa significasse amare, Da nessuna parte trovavo la risposta Ma poi, sei arrivata te, l’ho trovata nelle sere insieme a parlare e quando è finita, è stata una forte batosta,
perché vedi, sei la luce che mi illumina l’oscurità, sei quella mano che mi sorregge, e la forza mi dà. Sei la fiamma che ha accesso la passione, Sei il dono più grande, della vita la vera ragione.
tu per me sei come il tramonto, l’alba, l’infinito, sei la stella che brilla, nel cielo sereno e pulito. Sei un giardino in fiore, l’aria di primavera, Sei i colori, i profumi, l’eterna bellezza, vera.
Sei quella persona che posso chiamare la mia dimora, perché dimore non è dove vivi, è dove un secondo sembra un’ora. Quando parliamo nei tuoi occhi mi perdo a sognare, di una vita insieme a te, fantasticare
Perché vedi, per me tutto questo sei tu, e anche di più Dio solo sa quanto sto bene quando ci sei tu , è merito di quel piccolo filo che ci unisce lo puoi chiamare amore, che nel petto ci colpisce.
Oggi facciamo un viaggio a Cracovia degli anni ’80, dove si crea il gruppo che rivoluzionerà il rock polacco, i Maanam.
Maanam è una delle band più importanti nella storia del rock polacco.
Hanno plasmato il genere e stabilito le tendenze.
Geni musicali, delle vere leggende dell’underground.
Maanam nasce a Cracovia nel 1975 su iniziativa del duo di chitarristi Marek Jackowski e Milo Kurtis. Il nome del gruppo nasce dal gioco con le iniziali dei nomi dei fondatori, “M e M”, o in un’altra versione “M-a-M”, da qui nasce il nome MAANAM.
Purtroppo, dopo pochi mesi, Kurtis lasciò il gruppo; nello stesso periodo si unì al gruppo la vocalista e cantautrice Olga Aleksandra Ostrowska (in seguito moglie di Jackowski), meglio conosciuta con lo pseudonimo di “Kora”.
Nel 1979, Maanam, con le proprie forze, e con il supporto del gruppo Dżamble, pubblicò il suo singolo di debutto “Hamlet”.
Un anno dopo, furono pubblicati i loro singoli: “Divine Buenos / Żądza pieniądza” e “Szare miraże / Stoję, stoję, czuję się świetnie“.
L’inizio degli anni ’80 si è rivelato una svolta per Maanam.
Il 6 giugno 1980 fecero il loro debutto sul palco alla prima edizione di Ogólnopolskim Przeglądzie Muzyki Młodej Generacji Jarocin. Nello stesso mese, durante il 18° Festival Piosenki Polskiej w Opolu, hanno dato il loro massimo con un’esibizione fenomenale durante la quale Kora ha cantato il famoso “Boskie Buenos”.
Già nell’81 i Maanam aprivano un nuovo capitolo nella storia del rock polacco: ogni album è pieno di successi, che ancora adesso possono essere ascoltati in radio.
Si considera il terzo album della band, “Nocny Patrol”, come uno degli album più importanti della storia della musica popolare polacca.
In questo album possiamo trovare i capolavori come “Kocham Cię, kochanie moje”, “Zdrada” oppure anche “Krakowski spleen”.
L’album è stato registrato in due versioni linguistiche, polacco e inglese.
A metà degli anni ’80, la band godeva di una grande popolarità anche tra il pubblico tedesco.
Appositivamente per il mercato locale, Maanam ha registrato gli album “Totalski no problemki. Maanam in Concert” (1984) e “Wet Cat” (1985). Allo stesso tempo, il gruppo è stato inserito nella “lista nera” per aver rifiutato di esibirsi in un concerto di amicizia polacco-sovietica.
Nel 1985, esce l’album “Mental Cut”, con la hit “Lucciola”.
Dopo anni di intensi tour, i membri del gruppo all’apice della fama decisero di sospendere le loro attività.
Ciò era dovuto a diversi fattori, tra cui i problemi di alcol e il divorzio di Kora e Jackowski.
Nell’86 i Maanam si sciolsero e Kora iniziò la sua carriera da solista.
I precedenti obblighi contrattuali della band fecero sì che nel 1989 pubblicassero l’album “Sięciemnia”, che godette di grande popolarità. Nel 1990, Maanam fece un tour negli Stati Uniti e con i soldi guadagnati, Kora aprì una sua etichetta discografica, Kamiling Co.
Nel novembre del 1991, Maanam tornò sul mercato con l’album “Derwisz i Anioł”, che godette di grande popolarità.
E negli anni ’90, la band pubblicò altri tre album: “Róża” (1994) con i successi “List (to nie hołd)” e “Bez ciebie umieram”, il best-seller “Łóżko” e “Klucz”.
L’inizio del secolo difficilmente può essere considerato un successo per il gruppo. L’album “Hotel Nirwana” (2000) è stato accolto molto male. “Sono rimasta delusa” – ha ammesso Kora in un’intervista.
Tuttavia, questo non ha scoraggiato i musicisti e nel 2004 hanno pubblicato un altro longplay, “Znaki Państwowe”.
Il 31 dicembre 2008, Kamiling Publishing ha annunciato che la band Maanam, dopo quasi 30 anni di carriera, si stava per sciogliere.
Kora, insieme alla band, ha iniziato a fare tournée sotto il suo nome d’opera “Kora”, ma senza la partecipazione di Marek Jackowski.
E proprio così, nella giornata del 31 dicembre 2008, la grande leggenda del rock polacco cessò di esistere.
Ci sono molti aneddoti e testimonianze scritte che rimandano all’utilizzo di questo farmaco negli anni della seconda guerra mondiale.
In ambito storico, la fama di questo Pervitin è legata all’utilizzo che le truppe tedesche ne fecero (c’è da dire che però i tedeschi non furono certo gli unici che fecero uso abbondante di droghe: abbiamo l’esempio di soldati finlandesi che abusavano di metanfetamine, di truppe alleate e della loro dipendenza da benzedrina e si menziona per esempio il fatto che i soldati sovietici utilizzassero dinitrofenolo per poter sopravvivere nel corso della guerra).
La positiva commercializzazione della benzedrina nel mercato statunitense nel 1933 stimolò le aziende farmaceutiche tedesche a sviluppare una propria linea di sostanze eccitanti chiamata con il termine generico “Weckaminen” per indicare tutti i farmaci che derivano dall’efedrina.
La produzione commerciale dei prodotti realizzati nei confini nazionali avrebbe così reso la Germania indipendente dalle importazioni estere.
Il chimico Fritz Hauschild perfezionò la formula messa sul mercato dagli americani (gli atleti statunitensi infatti utilizzarono benzedrina durante le olimpiadi del 1936) e riuscì nel 1937 a ottenere un nuovo prodotto che lavorato all’inizio in forma esclusiva negli stabilimenti farmaceutici della ditta Temmler surclassava sotto diversi punti di vista tanti altri tipi di anfetamina, come ad esempio la benzedrina statunitense. A questa sostanza innovativa derivata dall’efedrina e appartenente alla categoria delle anfetamine (principio attivo è la metanfetamina cloridrato), l’ufficio brevetti del Reich nel 1938 diede il nome commerciale di Pervitin. Medici e fisiologi tedeschi si interessarono in particolare alla ricerca di stimolanti per ragioni che andavano oltre gli scopi medici come ad esempio il trattamento della depressione, dell’apatia e delle sindromi psicopatologiche. Il loro interesse si estendeva a tutte quelle sostanze che potevano essere sfruttate per stimolare gli uomini sul luogo di lavoro prima di tutto, nelle fabbriche e negli uffici, così da incentivare il tasso di produzione nazionale.
L’interesse scientifico per questo farmaco crebbe sostanzialmente ma non furono pochi quelli che si resero conto del pericolo che questo farmaco utilizzato in maniera cronica comportava (una delle sue controindicazioni era la sensibilità alla luce del sole la cui intensità diventava così forte in certi momenti da risultare insopportabile).
Alla fine facendo varie prove con i dosaggi i ricercatori arrivarono all’unanimità a dichiarare una dose massima consentita tra i 3 e i 6 mg, equivalenti a una/due pasticche. L’effetto del farmaco variava a seconda delle caratteristiche e degli stati psicologici delle persone che lo assumevano. Nelle prime fasi della commercializzazione, si andava dicendo, nel 1939, che il Pervitin donava ai propri pazienti maggiore ottimismo e gioia di vivere, rafforzando la volontà e la fiducia nel futuro. Nel 1938 si iniziò a sperimentare la droga sui soldati, cioè la fascia di popolazione su cui il regime si era interessato maggiormente e si cominciò a registrare gli effetti in questa fase.
In alcune pubblicazioni ci viene riassunta l’importanza del Pervitin come strumento in grado di stimolare i soldati mentalmente esausti e fisicamente spossati dalle sostanze artificiali.
Nel luglio del 1940 la Wehrmacht e la Luftwaffe acquistarono circa 35 milioni di compresse di Pervitin ma tra le direttive fu diramato l’ordine ben preciso di non somministrare troppo spesso il farmaco ai soldati, dal momento che erano ancora poco chiari i suoi effetti, indicazioni che però furono seguite in modo più o meno vago e variegato. Viene riportato, ad esempio, il rapporto di un ufficiale medico del gennaio 1942 in un gruppo di 500 soldati stanziati sul fronte orientale accerchiati dai sovietici, a quelli più esausti e a malapena in grado di combattere furono date due tavolette di Pervitin, in meno di un’ora questi soldati furono in grado di partecipare di nuovo ai combattimenti.
Le truppe riuscirono a spezzare l’accerchiamento sospinti da un’ondata improvvisa di energia, molti di questi si fecero persino prendere dall’euforia durante i combattimenti.
Il Pervitin dimostrò comunque la sua efficacia non solo nelle situazioni a fuoco, ad esempio dopo la capitolazione a stalingrado un soldato tedesco gravemente ferito che fu trasportato in un campo di prigionia a meno 38 gradi e con poco cibo affermò di essere sopravvissuto proprio grazie all’aiuto di questa pasticca che la Wehrmacht gli aveva dato prima della battaglia: «Camminavo come se fossi in un perenne stato di trance, le mie gambe ferite si muovevano automaticamente, non sentivo più il freddo né la fame neppure la sete.»
Per molti la droga fu il compagno ideale sul campo di battaglia: sopprimeva i freni inibitori e di conseguenza a combattere sembrava molto più facile sia che si trattasse di fare marcia notturne, di sparare o di rimorchiare i panzer.
Lo stesso generale tedesco Heinz Guderian nel suo rapporto sull’offensiva in Francia sottolineò a più riprese lo stupore dei prigionieri francesi per la velocità di marcia delle truppe tedesche: «Colpiti dalla nostra capacità di coprire distanze enormi.»
In Germania dal momento che a partire dalla guerra il caffè era diventato la risorsa sempre più limitata e difficile da trovare, la metanfetamina divenne il nuovo surrogato, il nuovo sostituto della caffeina. La mattina a colazione caffè d’orzo e qualche pasticca di Pervitin erano la soluzione, a poco a poco nel corso della campagna di guerra soprattutto tra il 40 e il 41 sintomi della dipendenza iniziarono a manifestarsi con maggiore evidenza, sempre più soldati affrontarono le battaglie con gli effetti collaterali della sostanza: soffrivano di cali di stimoli, di depressione, avevano problemi alla vista non potevano più tollerare il sole.
Non appena l’effetto della droga scemava l’umore crollava, diventavano quindi irrequieti e soffrivano di nausee. Quanto più a lungo si affidavano al Pervitin intanto meno dopamina e serotonina venivano rilasciate nel loro cervello. Gli uomini sentendosi sempre peggio ne assumevano sempre di più per poter compensare questo stato di malessere e di squilibrio che era causato dalla droga.
In Germania furono introdotte sul mercato barrette di cioccolato contenenti una dose di 14 mg di Pervitin (più del doppio consentito) ad uso sia civile che militare (nel caso militare c’erano le cosiddette barrette per i piloti, la cioccolata dell’aviatore e per i carristi la panzer cioccolata).
Il consumo di Pervitin era diventato una parte non quantificabile ma comunque innegabile della vita quotidiana nella Germania nazista, considerato anche il prezzo molto basso sul mercato di allora (circa trenta tavolette al prezzo di un reichsmark e mezzo) la sostanza si radicò con grande facilità non solo nella società militare ma anche in quella civile. Concludiamo dicendo quindi che in ambito bellico è indubbio che la droga fu senz’altro utilizzata come metodo artificiale per velocizzare la mobilitazione di truppe e soldati e anche allo stesso tempo per mantenere elevato il morale delle truppe, ma con conseguenze non prive di effetti collaterali.
Dmitrij Mendeleev fu uno dei chimici più importanti della storia, poiché creò un oggetto che almeno tutti abbiamo visto una volta nella vita: la tavola periodica.
Egli inizialmente aveva preparato una scheda con le caratteristiche di ciascun elemento, rendendosi conto che le loro proprietà si ripetevano periodicamente, secondo pattern ricorrenti. Le caratteristiche variavano gradualmente con il crescendo del numero atomico. Aveva scoperto la legge della periodicità, il preciso criterio di classificazione che avrebbe permesso la creazione della tavola periodica degli elementi.
Ciascuno degli elementi disposti nel sistema periodico guadagnava una precisa collocazione, data dall’intersezione tra periodi, gli spazi posti in orizzontale e gruppi gli spazi posti in verticale.
A differenza dei colleghi che prima di lui si erano cimentati in tentativi di classificazione, Mendeleev capì che le caselle rimaste vuote non erano errori, ma erano coerenti con il resto del sistema e rappresentavano elementi che non erano ancora stati scoperti. La sua tavola periodica ebbe quindi il merito di fare previsioni sulle caratteristiche degli elementi ancora da scoprire.
Nel tempo la tavola di Mendeleev è stata più volte modificata ma ancora oggi rimane un punto di riferimento fondamentale per la storia della chimica. Nonostante l’importanza della sua scoperta, Mendeleev non fu mai ammesso all’Accademia russa delle Scienze (forse per uno scandalo generato dal suo secondo matrimonio, avvenuto subito dopo il primo divorzio).
Per leggenda si dice che l’intuizione della tavola periodica gli si fosse presentata in sogno, ma questo episodio più volte citato sarebbe frutto di una testimonianza di seconda mano non del tutto attendibile.
Mendeleev aveva già iniziato a lavorare alla sua tabella da tempo quando la sognò. Il sogno ebbe forse il merito di fornirgli una rappresentazione più efficiente della tavola.
«Anche così Febo l’ama e, poggiata la mano sul tronco, sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia e, stringendo tra le braccia i suoi rami come un corpo, ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae.»
Metamorfosi — Ovidio
Scultore, architetto, pittore, scenografo: Gian Lorenzo Bernini, è stato uno dei grandi protagonisti del Seicento europeo e l’artista con cui la scultura barocca raggiunse i suoi vertici più alti. Fu un artista di enorme successo, guadagnandosi l’attenzione e gli incarichi dai papi e da alcune grandi famiglie romane.
Gian Lorenzo Bernini nasce a Napoli il 7 dicembre del 1598, da Pietro Bernini e Angelica Galante. L’artista trascorre nella città campana i primi anni della sua vita e compie il suo apprendistato proprio presso il padre. Nel 1606 la famiglia si trasferisce a Roma, poiché Pietro viene ingaggiato da papa Paolo V. Da adolescente, Gian Lorenzo comincia a realizzare alcune opere autonome.
Viene immediatamente notato dal cardinale Scipione Borghese, che nel 1618 gli commissiona l’Enea e Anchise, terminato nel 1619. Altre opere famose del Bernini sono il baldacchino di San Pietro (1624-35), il monumento funebre di Urbano VIII (1628-47), il David (1623-24), il Ratto di Proserpina (1621-22) e Fontana dei Quattro Fiumi (1648-51). Nel 1630 l’artista brucia ancora le tappe e a soli trentadue anni viene eletto Principe dell’Accademia di San Luca.
Gian Lorenzo Bernini si spegne a Roma il 28 novembre del 1680.
Il cardinale Scipione Borghese commissionò a Bernini alcune sculture di soggetto mitologico da collocare nelle sale della sua residenza suburbana, Villa Borghese, una villa-museo in cui collezionava le opere degli artisti più prestigiosi del Cinque e Seicento.
Una di queste fu la statua di Apollo e Dafne (1622-25), un vero capolavoro di Bernini che documenta il virtuosismo tecnico nel lavorare il marmo. Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e rappresenta Apollo che, colpito da una freccia di Cupido, si innamora della ninfa Dafne la quale, per non cedere alla passione del dio, si trasforma in una pianta di alloro.
Nel capolavoro, il confuso Apollo riesce a raggiungere, alla fine di una lunga corsa, la bella Dafne e questa, sfiorata dalle dita del giovane, inizia la sua trasformazione in albero.
Lui ha il corpo di un adolescente, con i muscoli in tensione; sbilanciato in avanti, compie una rotazione con il busto per afferrare Dafne. Il mantello, che gli sta scivolando via, si gonfia nel vento.Lei, invece, intuisce cosa sta accadendo e urla, più per lo stupore che per il dolore: si inarca all’indietro, ruota il busto e allarga le braccia in alto. Le sue mani e i capelli stanno prendendo la forma di rami e di foglie, le gambe stanno diventando tronco e i piedi radici. In un attimo la trasformazione sarà completata, la dura corteccia ricoprirà completamente il suo bel corpo di donna, le braccia e la chioma, già in parte mutate, saranno fronde.
L’opera, le cui figure sono in scala naturale, è concepita per offrire molti punti di vista differenziati. Bernini volle collocarla in modo che, entrando nella stanza, si potesse inizialmente vedere solo Apollo di spalle e appena intuire il crescendo della metamorfosi di Dafne. Da quell’angolazione si scorgeva, infatti, la corteccia che già avvolge il corpo della ninfa ma anche la mano del dio che, secondo i versi di Ovidio, sotto il legno ancora sentiva batterle il cuore. Solo girando attorno al gruppo scultoreo si sarebbero scoperti i particolari della trasformazione.
La scultura risulta fortemente dinamica: la disposizione delle figure, con le braccia che si protendono nello spazio, crea un movimento ascensionale.
I due giovani sono in equilibrio precario, appaiono sbilanciati, sembrano dover cadere da un momento all’altro. La rappresentazione del movimento è infatti impostata sui due archi descritti dalle figure che si intrecciano all’ideale spirale formata da tronco, mantello e braccia.
Bernini seppe risolvere il complesso problema del rapporto tra spinte e controspinte attraverso un raffinatissimo gioco di equilibri: corpi, gambe e braccia delle due figure si estendono nello spazio sfidando le leggi di gravità, ma sono sempre in qualche modo bilanciate da altre parti che si protendono nella direzione opposta. Lo scultore lavora il marmo in modo da riprodurre la consistenza delle diverse materie: dalla morbidezza dei corpi fino alla ruvidezza della corteccia.
Ci sono tre curiositàche possono destare in noi ancora più stupore. Un tempo, le pareti della stanza in cui si trova l’opera erano rivestite interamente di corami: una sorta di carta da parati tipica dell’epoca, realizzata con strisce di cuoio colorate.
In origine la statua era addossata alla parete confinante con la Cappella, proprio come fosse un dipinto. Fu spostata al centro della stanza alla fine del XVIII secolo. Guardandola dal basso, nella volta del soffitto, possiamo quindi osservare anche lo splendido affresco realizzato da Pietro Angeletti.
Infine, il dettaglio più inaspettato: le mani e le teste di Apollo e Dafne sono rimaste incompiute. Facendo delle foto dall’alto ci si è resi conto di alcuni segni di grafite sulle unghie e sul capo. Forse Bernini temeva di danneggiare dei pezzi così delicati o di alterare l’equilibrio della statua. Un unico blocco di marmo, da preservare nella sua maestosa fragilità.
Sul lato anteriore del piedistallo, su un finto cartiglio a forma di pelle di drago, venne inciso un distico moraleggiante dell’allora cardinale Maffeo Barberini: «Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae fronde manus implet baccas seu carpit amaras.» («Chi amando insegue le gioie della bellezza fugace riempie la mano di fronde e coglie bacche amare.»), quindi non soffermarsi mai alle sole bellezze terrene.
Il Bernini, attraverso il gioco di chiaroscuri, i differenti gradi di finitura, le meticolose levigature e lucidature, rende la bellissima Dafne l’espressione per eccellenza dell’amore non ricambiato. Inutile, dice il mito, amare qualcuno che non ricambia: qualunque sia la scelta che l’altra persona farà di fronte ai nostri sentimenti, deve essere rispettata senza ammettere violenza.
Anna Grande e Giada Viti
Fonti L‘Apollo e Dafne di Bernini, artesvelata.it Dentro l’opera: L’Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini. Il capolavoro della sua vita, restaurars.altervista.org Gian Lorenzo Bernini: vita, opere, capolavori del barocco, finestresullarte.info
“Vengo dalla luna” è un brano del rapper italiano Caparezza. Venne pubblicato nel suo secondo album “verità supposte” nel 2003.
La canzone è un vero e proprio manifesto contro il razzismo. In essa il cantante si mette nei panni di un alieno che, dalla Luna, arriva sulla Terra. E ovviamente viene discriminato. Nel testo si esprime la paura che a volte le persone hanno per il nuovo, per il diverso, e questa paura porta appunto al razzismo, un problema purtroppo ancora molto diffuso
“Ce l’hai con me perché ti fotto il lavoro
Perché ti fotto la macchina
O ti fotto la tipa sotto la luna?”
Il cantante riesce a unire i due maggiori pregiudizi che si hanno nei confronti degli immigrati: che vengano a rubare il lavoro (agli italiani nel nostro caso) o che vengano per compiere atti da delinquente. Inoltre nella canzone egli ribadisce come il luogo in cui si nasce è solamente una questione di caso e accusa tutti coloro che pensano di essere superiori solo perché nati in quel posto, di essere chiusi mentalmente (“sei confinato ma nel tuo stato mentale”)
“Io non sono nero
Io non sono bianco”
Era il 2003 quando il cantante scrisse questa canzone. Sono passati 20 anni ma la situazione non è cambiata. Il razzismo purtroppo ancora è vivo nella nostra società. Quanti anni dovranno passare ancora prima che la gente si rendi conto che siamo tutti uguali?
“E trovo inopportuna la paura per una cultura diversa”
La morte è legata all’umano e ogni cultura ha una sua rappresentazione di questa entità minacciosa che si manifesta prima di sparire per sempre da questo mondo.
Nel mondo occidentale la morte viene rappresentata come una figura oscura, un mietitore di anime che si presenta quando è giunta la nostra ora, ma in altre parti del mondo la morte assume forme diverse. L’esempio di oggi arriva dal Giappone, dove la morte viene incarnata dagli Shinigami.
La parola “shinigami” è composta da altre due parole giapponesi: “shii” e “kami” che significano letteralmente “morte” e “dio“.
Nella mitologia giapponese, il mondo è pieno di kami di vario genere. Tutto nel mondo ha uno spirito che lo governa: ci sono kami del cielo, kami dei fiumi, kami della fortuna e, naturalmente, i kami della morte, gli Shinigami. Questi ultimi, proprio come la figura che vive nella nostra tradizione occidentale, si occupano di traghettare le anime dalla terra dei vivi a quella dei morti.
A differenza del triste mietitore, gli shinigami non sono una forza da temere. Non danno la caccia ai vivi per costringerli nell’aldilà prima del tempo, il loro ruolo è quello di assicurarsi che le persone muoiano all’ora stabilita. Gli shinigami sono solo uno dei tanti modi in cui la vita e la morte coesistono.
La prima leggenda a parlare degli Shinigami racconta della storia di un uomo che voleva ingannare la morte. Stanco della vita l’uomo vuole suicidarsi, ma in quel momento appare una figura misteriosa che gli dice che non è ancora arrivato il suo momento. Lo Shinigami spiega anche che ogni vita è rappresentata da una candela e, una volta che la fiamma si esaurisce, la persona muore. Questo dimostra che gli Shinigami non hanno alcun controllo su chi vive e muore. Tuttavia, per evitare che l’uomo compia il suicidio, lo Shinigami lo raggira svelandogli un segreto semplice per fare soldi. Lo spirito rivela all’uomo alcune parole magiche che, se pronunciate sul letto di morte, mandano via uno Shinigami.
L’uomo quindi finge di essere un medico, e visita i letti di morte dei pazienti usando le parole magiche per bandire gli spiriti della morte. Un giorno, l’uomo viene chiamato in una casa per curare un uomo in fin di vita. Quando entra, vede che lo Shinigami è seduto sulla testata del letto del paziente, a indicare morte certa. La famiglia implora il ‘medico’ e gli offre una cospicua somma di denaro. Consumato dall’avidità, l’uomo decide di correre un rischio e, quando lo Shinigami si assopisce, cambia rapidamente l’orientamento del letto del paziente, salvandogli così la vita. Questo gesto, però, finisce per bruciare la sua candela più velocemente del dovuto. L’uomo morirà poco dopo.
Death Note
Nel lontano 2003 apparve sulla rivista Shōnen Jump un manga destinato a diventare, in breve tempo, un fenomeno editoriale “di culto” dentro e fuori dal Giappone: Death Note, un’opera composta da 108 capitoli raccolti in 13 tankōbon (12 più una guida alla lettura) pubblicati tra l’aprile 2004 e il 4 luglio 2006 e tradotti in Italia da Planet Manga.
In questa storia lo shinigami è colui che dà il via a tutti gli eventi. La premessa di base pone il lettore di fronte all’esistenza di un mondo parallelo, in cui vivono gli dei della morte.
In sintesi, lo shinigami ha qui un ruolo passivo, di semplice spettatore, non interviene né giudica le azioni del protagonista , nonostante diventino, col passare del tempo, sempre più folli. Io shinigami non ha empatia o simpatia per nessuno in particolare, ma si limita a svolgere il suo ruolo e a divertirsi nel constatare fino a che punto può spingersi la sete di potere tipica dell’essere umano.
Alex è un ragazzo di quindici anni, suo padre, John, è un medico oltre che un famoso scalatore mentre sua madre, Lisa, è da mesi affetta da un tumore, tanto che suo padre decide di ricoverarla in una clinica. Le due figlie più piccole andranno a stare dai nonni materni, mentre Alex viene affidato alla nonna paterna Kate, famosa giornalista sempre in giro per il mondo. Una volta atterrato riesce a raggiungere l’appartamento di sua nonna, che lo informa dell’imminente viaggio: partiranno per l’Amazzonia per un reportage su una Bestia, una creatura avvistata nella foresta, che semina paura e terrore. Imbarcatisi per il Brasile, i due arrivano a Manaus, dove hanno modo di conoscere i loro compagni di viaggio e di arrivare alla verità.
Recensione
Ho trovato questo libro molto interessante, è come una piccola enciclopedia: c’è la geografia, la storia, l’antropologia e la sociologia. Inoltre Isabel Allende ci regala degli insegnamenti sul valore dell’amicizia e soprattutto sul rispetto del prossimo e della natura.
Quello raccontato dall’autrice è un viaggio dagli Stati Uniti alla foresta dell’Amazzonia, dove Alex, la nonna Kate e i compagni di viaggio dovranno scoprire cosa si nasconde dietro alla misteriosa Bestia capace di paralizzare con il suo odore chiunque incontri. I due verranno affiancati nella spedizione da personaggi molto diversi tra di loro, anche dalla guida brasiliana César e dalla figlia Nadia, che è in grado di muoversi nella foresta e conosce i trucchi per cavarsela. Ben presto i due ragazzi diventano inseparabili e insieme riescono a vivere avventure incredibili: grazie alla loro integrazione con la natura e la cultura locale vengono incaricati di salvare la Tribù della Nebbia, che appare e scompare come per magia nella foresta ed entrano in possesso di poteri eccezionali, che faranno meritare a Nadia il nome di Aquila e ad Alex quello di Giaguaro.
La ricerca delle risposte porterà i due ragazzi a dover superare prove durissime e al termine del loro viaggio riusciranno a scoprire il mistero che circonda la Bestia.
Quello che mi sono ritrovata tra le mani è stato un libro accattivante e misterioso, dove l’autrice ci mette davanti alla lotta fra il bene e il male, che non ci chiarisce solo la contrapposizione tra chi vuole distruggere la foresta Amazzonica e le sue popolazioni e chi invece è pronto a lottare per salvarle, ma ci porta anche a considerare la dimensione più personale di noi stessi. Alla prossima lettura!
Gli uomini non sono i soli abitanti del cosmo. Insieme a loro, come abbiamo detto, ci sono molte creature, oltre gli dèi e i giganti, ma alcune di queste, come gli animali che popolano Yggdrasil, sono quasi divinità: vivranno fintanto che ci sarà l’albero del cosmo e porteranno avanti i propri compiti, dal creare fenomeni atmosferici all’erodere le basi dell’esistenza per accelerare la venuta della fine dei tempi. Ognuno fa ciò che il proprio destino gli indica, e neanche le creature primordiali che animano l’universo fanno eccezione.
Otto di questi regni sono posti a coppie in cui gli opposti controbilanciano ed equilibrano il tutto.
Il mondo Muspellisheimr, il regno del fuoco sempiterno, dei vulcani, della lava e dei lapilli è contrapposto per sua natura al regno del gelo, Niflheimr, il luogo del freddo dove hanno origine il ghiaccio e la brina.
Il mondo Asaheimr, la dimora celeste dove sorge la città degli Dei Aesir, Assara, o dove si colloca il Valhalla, la sala degli eroi, è contrapposto a Hel, gli inferi più profondi e bassi.
I custodi degli elementi naturali sono i Vanir, simili agli Asgardiani e potenti quanto questi, e incarnano l’archetipo dell’ordine delle cose che permette agli animali, alle piante e alle cose inanimate di essere come dovrebbero, e il loro mondo è chiamato Vanaheimr. Il caos e l’inaspettato regnano invece in Jotunheimr, la dimora dei giganti che causano alterazioni nella realtà.
Infine, Alfheimr, il regno degli elfi di luce, esseri benevoli e dalla mente sopraffina, è messo in contrapposizione con Svartalfaheimr, il mondo degli elfi oscuri e, secondo alcune tradizioni, di troll e altri mostri.
Midgardr sorge proprio al centro di questa creazione e sta in mezzo a tutti i livelli, circondato da acque tenute insieme dal serpente Jormungandr. A nord c’è Niflheimr, a sud Muspellsheimr, a ovest Vanaheimr e a est Jotunheimr; sotto c’è Svartalfaheimr, ancora più sotto Hel; sopra c’è Alfheimr e al livello più alto Asaheimr.
Nella “terra di mezzo” non dovrebbe esserci nessuno se non gli umani, eppure la congiunzione di queste linee porta molti esseri a interferire. Raramente i giganti si riescono a spostare da Jotunheimr senza essere rintracciati (e cacciati), mentre invece si dava per scontato che alcuni esseri coabitassero con gli esseri umani; i troll, per esempio, o i nani che ambivano a custodire tesori; alcuni mostri come lupi giganteschi o anche i draghi, e perfino gli elfi alti potevano visitare il nostro piano d’esistenza.
In alcune tradizioni, troll, nani ed elfi oscuri si sovrappongono come figure, tormentando gli umani, mangiando i bambini e insidiando i viandanti che si perdevano nella Foresta o sulle montagne. Gli Dei avevano una predilezione per gli umani perché erano il frutto del lavoro di Odino, Vili e Vè, che diedero forma al primo umano da un pezzo di frassino e alla prima donna da un olmo. Odino infatti diede loro il soffio vitale. Vili diede emotività e logica, Vé parola e pensiero. Gli dèi possono spostarsi per i nove regni grazie al ponte dell’arcobaleno, detto Bifrost, a cui è posto come guardiano Heimdallr, dotato di udito sopraffino e di vista sovrannaturale.
Solo gli Dei possono usare il ponte che sorge nel cielo dopo la pioggia, segno visibile del loro passaggio, ed eccezionalmente, oltre agli Aesir, anche i Vanir possono usare il Bifrost per radunarsi una volta l’anno. Tuttavia, Odino e i suoi figli visitano spesso gli esseri umani per guidarli o anche per loro piacere, oltre che per raccogliere i guerrieri valorosi caduti in battaglia.
Basato sul famosissimo romanzo del 1910 di Gaston Leroux, Il Fantasma dell’Opera è un racconto emozionante e romantico del leggendario Fantasma, un genio musicale che dimora nelle profondità di un maestoso teatro dell’opera di Parigi. Evitato dalla società per la sua deformità facciale, prende sotto la sua ala protettrice una giovane e promettente soprano, Christine, innamorandosi profondamente di lei.
Mentre Christine ha sempre più successo e un bel giovane del suo passato inizia a corteggiarla, il Fantasma diventa geloso e terrorizza la compagnia d’opera con minacce sempre più pericolose.
Il Fantasma dell’Opera è generalmente considerato un musical “sung-through” (le canzoni sostituiscono interamente o quasi interamente il dialogo parlato; le conversazioni, i discorsi e le riflessioni vengono comunicati musicalmente) in cui i dialoghi sono quasi assenti. (C’è un dialogo parlato minimo, la maggior parte da Madame Giry.)
Generalmente qualsiasi musical “sung-through” è considerato più “operistico” nello stile, poiché quasi tutte le opere classiche (prima della fine del XIX secolo) erano interamente cantate con le sezioni “parlanti” scritte in uno stile “recitativo”, in cui i cantanti cantavano solo su poche note, come il “recitativo” nei primi minuti dopo l’ouverture del Le nozze di Figaro di Mozart: il dialogo tra Susannah e Figaro è cantato, ma sembra quasi un parlato.
Il fantasma dell’opera è perfetto perché vuole entrare nello stile dell’orrore e per coloro che non amano gli horror troppo forti.
È digestibile, appaiono alcuni spaventi divertenti che non sono troppo terrorizzanti ed è infinitamente orecchiabile.
Questo il titolo riportato su un articolo, ma per quanto tempo ancora dobbiamo leggere tali notizie? Sono notizie che inevitabilmente toccano qualsiasi persona ne venga a conoscenza, nonostante questo però tutto rimane fermo a una semplice “espressione di cordoglio” e allo stesso modo anche la vita di quelle persone che è stata brutalmente spezzata rimane ferma a quegli istanti. Istanti di paura e terrore, percepibili solamente guardando negli occhi di ciascun individuo lì presente, consapevoli che sarebbero stati gli ultimi. Quanto disinteresse c’è da parte delle persone che potrebbero effettivamente agire? Moltissimo, a tal punto che non può essere nemmeno classificato; senza dubbio questo è condizionato da fattori più grandi, ma le stesse persone che dovrebbero garantire legalità e sicurezza, se ne lavano le mani, lasciando ad alatri questa grande responsabilità, che a loro volta decidono di lasciarla ad altri e così per innumerevoli volte, fin quando non arriva una persona che tra opposte convinzioni riesce a prendere posizione. La speranza dell’umanità non si spegne grazie a persone come queste.
In a time lapse Si è seduto al pianoforte, e quello che non era un film…è diventato un film… mi ha portato in un luogo, che significava qualcosa di molto profondo per me… Quando ho visto il modo in cui ha toccato con grazia i tasti… Quel che mi dà con la sua musica è uno spazio magico, mi permette di andare ovunque io voglia, anche perché la sua stessa musica è magia. «Quando diventi cosciente che il nostro tempo ha un limite, è il momento in cui cerchi di riempire quello spazio vuoto con tutta la tua energia e ricominci a vivere ogni istante della tua vita in modo pieno come quando eri bambino.» – Ludovico Einaudi
Il re Euristeo di Micene si sentiva frustrato per la sua incapacità di Liberarsi di Ercole. L’eroe stava accumulando sempre più gloria da ognuna delle sue imprese. Il re decise di costringere Ercole a compiere un lavoro degradante, indegno per un figlio di Zeus: in un solo giorno l’eroe avrebbe dovuto pulire la grande stalla di Augia, re degli Epei.
La stalla non veniva pulita da molto tempo e aveva accumulato tonnellate di sterco di animali. Euristeo pensava che a parte la difficoltà del compito, Ercole si sarebbe rifiutato di eseguire un lavoro così indecente, ma l’eroe si inchino umilmente al desiderio del suo re e partì per il regno di Augia. Il bisogno di essere purificato dai suoi peccati era più importante del suo orgoglio.
E così Ercole si presentò davanti al re Augia e offrì i suoi servigi per la pulizia delle stalle, ma non lo informò di essere lì al servizio di Euristeo.
Il figlio di Zeus contrattò con Augia per il pagamento di questa fatica e in fine raggiunsero un accordo. Il re credeva che pulire la stalla in un solo giorno sarebbe stato impossibile, così promise di consegnare un decimo del suo enorme gregge all’eroe; se Ercole non fosse riuscito a completare il lavoro in un solo giorno non avrebbe ottenuto nulla.
Il re chiamò suo figlio a testimoniare l’accordo, ad Ercole fu data una pala ma la mise da parte e si diresse verso il fiume Alfeo.
Con una forza immensa Ercole gettò grandi rocce di fiume deviando il suo corso verso la stalla di Augia, le acque del fiume attraversarono le porte della stalla e lavarono via tutta la sporcizia.
Ercole permise al fiume di tornare a scorrere nel suo corso naturale.
Augia vedendo che le stalle erano pulite ed Ercole non si era nemmeno sporcato le mani rimase sbalordito.
Quando Ercole andrà a riscuotere il pagamento il re affermerá di non aver mai fatto un tale accordo, ma Fineo, suo figlio, testimoniò in favore di Ercole.
Infuriato da questo tradimento il re cacciò Ercole e suo figlio. Ma Ercole non avrebbe accettato l’umiliazione, radunò un esercito di tebani e detronizzò il Augia, installando l’onorevole Principe Fineo al posto del padre.